“Guarda quello.. Ma è normale?!”
“Lascia perdere, è autistico*“
*o down; o dislessico; o depresso; o iperattivo. O qualunque etichetta.

“Eccomi: sono io. Quella persona non normale sono io. Sono io quello autistico, non ho altro se non il mio autismo. Tutti mi conoscono così, questo è ciò che sono, questo è quello che so fare. Un tempo credevo di avere altre potenzialità, credevo di mettere in mostra altre caratteristiche. Mi sbagliavo. Quando mi vedono, infatti, mi riconoscono per il mio autismo. Quando parlano di me, mi indicano come quello autistico.
A volte mi chiedo come sarebbe se qualcuno provasse a sintonizzarsi su di me, su ciò che sono sotto la mia etichetta, su ciò che so fare, sul modo migliore che abbiamo per entrare in contatto. A volte immagino di poter essere visto, pensato, accolto senza pregiudizi, senza aspettarsi già che io agirò o reagirò per forza in un solo modo, quello “tipico” della mia etichetta.
Mi chiedo come sarebbe se incontrandomi gli altri avessero voglia di conoscermi, di conoscere così come sono fatto io, con i miei punti di forza e le mie difficoltà, con i miei interessi e le mie passioni, senza dare per scontato che io non sia altro che quello descritto da un manuale.
Mi chiedo come sarebbe se incontrandomi gli altri sapessero osservare in silenzio e senza aspettative, cercando di capire come comunicare con me, quali canali siano più congeniali alla nostra relazione, come possiamo comprenderci a vicenda secondo le nostre, uniche e personali, caratteristiche.
Mi chiedo come sarebbe se incontrandomi gli altri fossero ben disposti a costruire una relazione con me, sapendo accogliere anche le mie difficoltà, le mie idiosincrasie, così come io dovrei accogliere le loro, magari in maniera più sottile e meno evidente.
Mi chiedo come sarebbe se gli altri conoscendomi invece di relegarmi nell’angolo dell’impossibilità, avessero voglia di aiutarmi, di farmi capire meglio cosa ci si possa aspettare da me, di mettersi in gioco per darmi nuove e stimolanti possibilità. Mi chiedo come sarebbe se si sapesse strutturare l’ambiente (soprattutto quello educativo) non in maniera univoca, ma ampliando le possibilità a diverse caratteristiche, a diverse modalità relazionali, a diverse competenze. Mi chiedo come sarebbe se si smettesse di pensare che ogni categoria di persone abbia un percorso obbligato, senza tener conto dell’importanza di far fruttare autonomie, di far fruttare gli interessi, di far fruttare le potenzialità; senza dare importanza al potere dell’avere un obiettivo, dell’avere una speranza, grande o piccola che sia.”
Oggi, 2 Aprile, è la giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, spesso troppo poco conosciuto, troppo etichettato, troppo bistrattato. Non dimentichiamo che essere consapevoli implica conoscere, e conoscere vuol dire comprendere, o almeno provarci.
E, soprattutto, non dimentichiamo che nessuna persona è “un autistico”, ma al massimo è “una persona con autismo”, quindi prima di tutto “una persona”. Una persona con le sue caratteristiche, le sue capacità, le sue difficoltà… L’obiettivo primario dovrebbe sempre essere quello di conoscerla nelle sue particolarità, mettersi in gioco per interagire (con la consapevolezza che il mio modo di interagire non è per forza il migliore, ma solo UN modo.. Magari quello che va per la maggiore, ma pur sempre UNO) e darle la possibilità di vivere al meglio, secondo i suoi interessi e le sue, specifiche, complesse, capacità.
E non dimentichiamo che tutto questo vale per qualunque etichetta, che toglie identità, toglie possibilità di cambiamento, toglie speranza. Evitarle, ogni giorno dell’anno e non solo in occasione delle “giornate mondiali” per la tal o la tal altra patologia, è sempre una buona idea per migliorare la qualità della vita di ogni persona.
Dott.ssa Giulia Schena
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