
L’aborto spontaneo e il lutto perinatale sono il lato oscuro (e oscurato) della gravidanza. Se ne parla poco, si dà molto per scontato, eppure è un’eventualità molto meno remota di quanto si pensi: 1 gravidanza su 4 si interrompe prima del tempo, facendo sfumare in un attimo le speranze e i sogni di due genitori in attesa.
Dopo la perdita di un figlio in gravidanza si piomba in uno stato di tristezza, di incredulità, che si mischiano ai sensi di colpa, ai “cosa sarebbe successo se…”, ai “perché proprio a me”. Inoltre ci si trova a dover fare i conti con la paura e i dubbi sul futuro: “potrò mai essere di nuovo in attesa? riuscirò mai a stringere un bambino tra le braccia e a vederlo crescere?”.
Tutto questo scombussolamento, spesso (troppo spesso), è accompagnato dalla mancanza di sostegno e di comprensione da parte di chi sta intorno alla coppia. Anzi, capita che addirittura dentro alla coppia si fatichi a parlarne, che ognuno dei due genitori affranti fatichi a tirare fuori le proprie emozioni, che si costruisca piano piano un muro fatto di rimorsi, di rimpianti, di speranze disattese e di lacrime non versate o non raccolte.
Gli amici, i parenti, spesso anche i medici, dicono che non ci si deve più pensare, che si deve guardare avanti, che la prossima volta andrà meglio. E così chi sta soffrendo si sente anche un po’ pazzo per questa sofferenza… Come se soffrire per la perdita di un figlio fosse sbagliato, insensato, assurdo.
È importante, invece, riconoscere che la perdita di un figlio è un lutto, indipendentemente dal fatto che sia avvenuta nel primo periodo della gestazione, che sia avvenuta quando ormai l’attesa sembrava finita, o che sia stata conseguente alla scelta di interrompere la gravidanza a causa di una diagnosi infausta. E in quanto lutto ha bisogno di essere accolta e compresa, ha bisogno di essere elaborata.
Chi perde un figlio in gravidanza ha bisogno di poter esprimere le proprie emozioni, di fare i conti con il proprio dolore, con la propria rabbia, con la propria preoccupazione, sapendo che nulla di quello che prova è sbagliato, e che nulla di quello che prova va represso o nascosto.
Può capitare che la sofferenza per l’interruzione della gravidanza si faccia troppo profonda o che il proprio contesto di vita non offra l’ascolto e l’empatia necessari a superare, un passo alla volta, l’acuta sofferenza, trovando uno spazio per i sentimenti positivi che si provano per questo bimbo, volato via prima del tempo. Può capitare che si senta il bisogno di un ascolto più profondo, di un supporto, di un aiuto a comprendere le tremende sensazioni di dolore, di rabbia e di impotenza che si provano. Non si dovrebbe mai sentirsi giudicati (o giudicabili) per questo bisogno.
Ma che tipo di aiuto può offrire uno psicologo nelle situazioni di lutto perinatale?
Innanzitutto parlare con un professionista permette di trovare l’ascolto, l’empatia, la possibilità di rinarrare e rielaborare l’accaduto, in un contesto protetto e accogliente. Ancora più importante, però, è essere aiutati ad attraversare l’elaborazione del lutto, riconoscendone i segnali, affrontando le difficoltà che mano a mano si presentano, trovando un sostegno per diminuire i pensieri intrusivi e per lasciare andare le emozioni negative, creando così uno spazio per i ricordi nostalgici e per l’amore che nonostante tutto non può morire. Inoltre un sostegno può essere utile anche per rimettere in moto la comunicazione e il supporto reciproco all’interno della coppia, dando sfogo ai sentimenti di ognuno e creando la possibilità di un confronto utile a comprendersi l’un l’altra. Infine, ma non meno importante, un supporto psicologico può essere d’aiuto nel prepararsi alla ricerca di una nuova gravidanza e nel vivere le gravidanze arcobaleno con più serenità e consapevolezza.
Una dei metodi che possono essere usati in terapia è l’EMDR (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), che permette di affrontare i ricordi traumatici e dolorosi, lasciandoli fluire verso un’elaborazione funzionale.
È importante che il terapeuta che offre questo tipo di sostegno abbia un’adeguata formazione: che conosca il lutto perinatale, che sappia essere empatico verso il dolore del genitori in lutto e che non sminuisca l’accaduto. È importante che, almeno questa figura, non faccia sentire questi genitori soli e incompresi.
Il lutto perinatale, in definitiva, non è una patologia, è un processo e come tale va sostenuto. Lo psicologo può essere una guida che accompagna in questo percorso: un percorso in salita, con alti e bassi, con caratteristiche specifiche per ogni individuo, senza nulla di dovuto e senza nulla di banale. Un percorso che può portare dal dolore più profondo al tenero ricordo di un figlio immensamente amato e partito troppo presto.
Dott.ssa Giulia Schena
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