“Io non ce la faccio dottoressa: il lavoro, i bambini, le attività extrascolastiche, la casa.. Non sono abbastanza, mi vedo ogni giorno fallire nell’impresa. Eppure pensavo di farcela, quando abbiamo deciso di avere un figlio credevo sarei riuscita a fare tutto, sono sempre stata un vulcano.. Non pensavo di fallire proprio in questo. Mi sento in colpa, non riesco ad essere abbastanza né al lavoro, né come mamma. Come posso fare?”
Questo discorso, più o meno in questi termini, l’ho sentito un milione di volte. Forse anche qualcuna in più. Mamme sull’orlo di una crisi, che non si sentono adeguate, che lottano ogni giorno contro il tempo e contro i sensi di colpa. Raccontano la loro vita sul filo del rasoio, correndo come pazze e lasciando sempre qualcosa di incompiuto, per forza.
Nei loro racconti, però, manca sempre una cosa: manca sempre la figura del padre. E quando chiedi “mi scusi, ma cosa ne pensa il suo compagno?” ti guardano stranite: “Cosa vuole, lui ha da lavorare…”. A volte continuano: “È anche bravo, sa? Quando può mi aiuta.. La sera è presente, cambia pannolini, legge favole”, altre sospirano sconsolate: “Non è da lui fare il mammo.. Lavora tutto il giorno e poi arriva a casa e si aspetta la cena pronta. Però non ci fa mancare niente”.
E allora inviti lui e senti il suo parere. In genere suona più o meno così: “Lavoro tutto il giorno, non posso stare dietro a tutte le cose dei bambini.. E poi loro vogliono la mamma. Ci ho provato delle volte a metterli a nanna io, ma non sono in grado.. Piangono, chiamano lei. Con me non ci stanno più di un tot.. Poi comunque lei ha preso il part time apposta, per riuscire a seguirli. D’altronde hanno un rapporto molto stretto.. I primo tempi stavano sempre insieme, mentre io ero al lavoro.”
Sembra impossibile venirne fuori: madri in crisi, padri (a detta loro) incapaci e oberati di lavoro. Madri che riducono aspettative e impegni fuori casa, padri che non ci provano nemmeno. Madri che corrono, padri pure, ma in modo diverso.
Un tempo la divisione era questa: madre a casa a gestire i figli, padre fuori al lavoro a portare a casa la pagnotta.
Oggi la divisione è più o meno questa: madre con il dono dell’ubiquità un po’ a casa e un po’ al lavoro, padre al lavoro a portare a casa l’altra metà della pagnotta.
Deve esserci sfuggito un passaggio. Quella volta, quando a scuola ci hanno insegnato le divisioni e le percentuali, dobbiamo aver capito male. Perché se casa+lavoro fa il 100% dell’impegno quotidiano, quando si è in due si dovrebbe avere un 50% ciascuno. Quindi ad esempio:
A uno casa (50%), all’altro lavoro (50%).
E se non si può fare una divisione tanto semplice? Se il 50% del lavoro si divide in due? Beh, dovrebbe risultare più o meno così:
A uno 25% casa e 25% lavoro, all’altro… Idem.
Ma l’evoluzione della cosa ha subito un qualche intoppo e dopo aver diviso a metà il 50% del lavoro, ci si è fermati. E fino a nuovo ordine sembra che l’altro impegno, quello di casa, debba rimanere a chi ce lo aveva prima.
Se c’è da sacrificare una carriera, quindi, si sacrifica quella della mamma. Se c’è da sacrificare una sanità mentale idem.
Ma le mamme, così, si riempiono di sensi di colpa e di inadeguatezza (che non fanno bene né a loro, né alla loro relazione con i figli) e di frustrazione e rabbia (che non fanno bene né a loro, né alla loro relazione con il partner).
E i papà non sono certo immuni; loro fanno il pieno di senso di incapacità genitoriale (che non fa bene né a loro, né alla loro relazione con i figli) e di rabbia e rancore verso la rabbia della compagna (che non fa bene né a loro, né alla loro relazione con la partner).
Non vince nessuno. Tutti si lamentano. Tutti stanno male.
Ma perché si arriva a questo punto?
Se siete mamme starete pensando:
Perché lui non fa la sua parte e non si accorge nemmeno di quanto sono stanca
Se siete papà starete pensando:
Eccola l’ennesima che dà la colpa a me.. Ma cosa diamine dovrei fare di diverso?!
La colpa non è in realtà né dei papà né delle mamme, o meglio è di entrambi. È una colpa culturale.
Quando nasce un bambino si dà per scontato che sia la mamma a doversene occupare (esattamente come quando la divisione casa-lavoro era 50% e 50%). A nessuno viene in mente che entrambi i genitori possono (e devono) fare la loro parte. A nessuno viene in mente che i papà siano tanto bravi quanto le mamme ad accudire i figli, se solo si lasciano fare. A nessuno viene in mente che il lavoro di una donna è tanto importante quanto quello di un uomo, e quindi sono ugualmente sacrificabili (e, pensateci, così verrebbero anche meno alcune delle differenze tra uomini e donne nel mondo del lavoro: perché assumere l’uno o l’altra non cambierebbe granché visto che entrambi prima o poi potrebbero sottrarre del tempo al lavoro per fare i genitori).
I figli si fanno in due e c’è un buon motivo: c’è bisogno di due teste, quattro braccia, quattro occhi, due cuori per tirarli su. (Lode a chi riesce a farlo da sola/o, siete dei super eroi!!)
Ma a nessuna mamma (o a molto poche) viene in mente di dire: i permessi di maternità/paternità li prendiamo un po’ per ciascuno, così nessuno si perde troppo da nessuna delle due parti e ognuno fa la sua parte in entrambi gli ambiti. A nessuna mamma (o a molto poche) viene in mente di dire al compagno: questa cosa di casa/del bambino la gestisci tu, come vuoi tu, non come farei io, ma come vuoi fare tu. E a nessun papà (o a molto pochi) viene in mente di rivendicare un posto che poi, a poco a poco, scivola via, con il loro rammarico. E a nessun papà (o a molto pochi) viene in mente di dire che se a volte tacciano le compagne di esserci solo per i figli non è per gelosia, ma perché perdono il loro ruolo e la loro identità (sia quella di compagno che quella di padre).
Poche sono, da entrambe le parti, le richieste e gli accordi espliciti. Tutti e due ci si aspetta che l’altro capisca, così come per magia. E alla fine, stanchi ed incompresi, ci si manda a quel paese.
I figli si fanno in due, non ci sono (o non dovrebbero esserci) madri supersoniche, né padri incompetenti: c’è (o dovrebbe esserci) il mettersi alla prova, il sostenersi e il dirsi apertamente ciò che si pensa per gestire meglio le cose da fare, prima che i sentimenti negativi siano talmente tanti che arrivano a tappare occhi e orecchie (facendo vedere così solo quello che non va).
Il succo del discorso è:
Mamma, non sei un’incapace se non riesci a fare tutto. Sei umana.
Papà, non sei obbligato a lasciar fare alla tua compagna. Sei adeguato.
Voi due, insieme, potete comunicare, organizzare, programmare e gestire tutto in due, con più serenità. Fidatevi, potete riuscirci.

Dott.ssa Giulia Schena
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